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mercoledì 7 agosto 2013

IL BRUCO E LA FARFALLA - ovvero: riflessioni su quella che un tempo si chiamava "preadolescenza"

Il tempo della scuola media è il tempo meraviglioso del cambiamento, dell’imprevisto, della scoperta, della trasformazione. Se dovessi descriverlo con un’immagine, lo paragonerei al bozzolo di una crisalide: prima, c’era una piccolo bruchino, più o meno carino, più o meno fastidioso, ma con una forma definita e precisa. È facile disegnare un bruchino: è un’immagine che i genitori hanno ben in mente, che sanno ben descrivere. “Mio figlio è timido e introverso”, “Mia figlia è tenace e studiosa”, “Mio figlio è un tenerone”…
Questo bruchino si approssima alla prima media e i genitori lo presentano così, come lo conoscono bene: sanno ciò di cui ha bisogno e ciò di cui deve fare a meno, conoscono alla perfezione le caratteristiche che dovrà avere il suo insegnante ideale, temono gli altri insetti che si aggirano per le aule (“tutti questi bulli”), dimenticando che anch’essi erano teneri bruchini quando sono arrivati, si scandalizzano quando gli si fa notare che tante cose cambieranno, che nascerà l’interesse per l’altro sesso (“Non mio figlio, è ancora così bambinone”).
Invece, è il tempo della crisalide: il bruchino troverà il suo spazio e comincerà a tessere quella tela che deve nascondere la sua trasformazione agli occhi degli altri; dentro il bozzolo, possiamo solo immaginare che cosa sta avvenendo. Fuori dal bozzolo, possiamo solo cercare di offrire le condizioni ambientali più adatte perché questa trasformazione sia positiva e possibilmente indolore. Certo, in un ambiente troppo freddo, la crisalide potrebbe morire; in un ambiente troppo caldo, forse soffocherà… ma non ci sono garanzie.
Tutti i genitori vengono a chiedere garanzie: “Voglio quell’insegnante, perché so che è adatta a mio figlio”, “Sono certo che in questa classe mio figlio non imparerà abbastanza”…
Quando mi chiedono garanzie, rispondo: “E chi lo sa?”
Mi sembra l’unica risposta onesta.
Chiunque, genitore o insegnante, sia abbastanza vecchio da aver visto un gruppo di ragazzi entrare e poi uscire dall’adolescenza, può testimoniare che non c’è mai certezza su  ciò che uscirà dalla crisalide.
 A volte le condizioni sembravano ottimali, eppure la crisalide muore. A volte, incredibilmente esce lo stesso bruchino che ci era entrato. Anzi, un bruco più brutto e meno aggraziato, un bruco che non vorrebbe più essere tale, ma che ha perduto il tempo della trasformazione.
Altre volte, magari anche in condizioni proibitive, sboccia la farfalla dai più incredibili colori.
La cosa più difficile da imparare è l’attesa.
Il mondo in cui viviamo è sorretto dall’ansia. L’attesa è l’esperienza più straziante, perché pretende che riusciamo a trattenere la nostra ansia, ad ingabbiarla, ad evitarle di fare danni.
Perché l’ansia è quella cosa che a volte decide che è ora di rompere il bozzolo per far uscire la farfalla e così produce uno sgorbio. È quella che si affanna pensando che la crisalide non ce la farà mai da sola. È quella che può danneggiare irreparabilmente la vita della meravigliosa farfalla, prima ancora che sia sbocciata.
L’ansia non appartiene alla farfalla.
 A volte, dentro il bozzolo, la crisalide si sente un po’ sola, un po’ angosciata. Quello di cui ha bisogno è sapere che, fuori, c’è qualcuno che è sicuro che lei ce la farà ad uscire e che quando uscirà sarà bellissima. Questo le permette di capire che la sua angoscia è piccola e può essere superata.

Ma se respira l’ansia che filtra attraverso il bozzolo, la farfalla non avrà mai il coraggio di uscire. Perché l’ansia è come le polveri sottili degli scarichi urbani: non si vedono, ma penetrano ovunque e possono ucciderci. 

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