Il tempo della scuola media è il tempo meraviglioso del
cambiamento, dell’imprevisto, della scoperta, della trasformazione. Se dovessi
descriverlo con un’immagine, lo paragonerei al bozzolo di una crisalide: prima,
c’era una piccolo bruchino, più o meno carino, più o meno fastidioso, ma con
una forma definita e precisa. È facile disegnare un bruchino: è un’immagine che
i genitori hanno ben in mente, che sanno ben descrivere. “Mio figlio è timido e
introverso”, “Mia figlia è tenace e studiosa”, “Mio figlio è un tenerone”…
Questo bruchino si approssima alla prima media e i genitori
lo presentano così, come lo conoscono bene: sanno ciò di cui ha bisogno e ciò
di cui deve fare a meno, conoscono alla perfezione le caratteristiche che dovrà
avere il suo insegnante ideale, temono gli altri insetti che si aggirano per le
aule (“tutti questi bulli”), dimenticando che anch’essi erano teneri bruchini
quando sono arrivati, si scandalizzano quando gli si fa notare che tante cose
cambieranno, che nascerà l’interesse per l’altro sesso (“Non mio figlio, è
ancora così bambinone”).
Invece, è il tempo della crisalide: il bruchino troverà il
suo spazio e comincerà a tessere quella tela che deve nascondere la sua trasformazione
agli occhi degli altri; dentro il bozzolo, possiamo solo immaginare che cosa
sta avvenendo. Fuori dal bozzolo, possiamo solo cercare di offrire le
condizioni ambientali più adatte perché questa trasformazione sia positiva e
possibilmente indolore. Certo, in un ambiente troppo freddo, la crisalide
potrebbe morire; in un ambiente troppo caldo, forse soffocherà… ma non ci sono
garanzie.
Tutti i genitori vengono a chiedere garanzie: “Voglio quell’insegnante,
perché so che è adatta a mio figlio”,
“Sono certo che in questa classe mio
figlio non imparerà abbastanza”…
Quando mi chiedono garanzie, rispondo: “E chi lo sa?”
Mi sembra l’unica risposta onesta.
Chiunque, genitore o insegnante, sia abbastanza vecchio da
aver visto un gruppo di ragazzi entrare e poi uscire dall’adolescenza, può
testimoniare che non c’è mai certezza su ciò che uscirà dalla crisalide.
A volte le condizioni
sembravano ottimali, eppure la crisalide muore. A volte, incredibilmente esce
lo stesso bruchino che ci era entrato. Anzi, un bruco più brutto e meno
aggraziato, un bruco che non vorrebbe più essere tale, ma che ha perduto il
tempo della trasformazione.
Altre volte, magari anche in condizioni proibitive, sboccia
la farfalla dai più incredibili colori.
La cosa più difficile da imparare è l’attesa.
Il mondo in cui viviamo è sorretto dall’ansia. L’attesa è l’esperienza
più straziante, perché pretende che riusciamo a trattenere la nostra ansia, ad
ingabbiarla, ad evitarle di fare danni.
Perché l’ansia è quella cosa che a volte decide che è ora di
rompere il bozzolo per far uscire la farfalla e così produce uno sgorbio. È quella
che si affanna pensando che la crisalide non ce la farà mai da sola. È quella
che può danneggiare irreparabilmente la vita della meravigliosa farfalla, prima
ancora che sia sbocciata.
L’ansia non appartiene alla farfalla.
A volte, dentro il
bozzolo, la crisalide si sente un po’ sola, un po’ angosciata. Quello di cui ha
bisogno è sapere che, fuori, c’è qualcuno che è sicuro che lei ce la farà ad
uscire e che quando uscirà sarà bellissima. Questo le permette di capire che la
sua angoscia è piccola e può essere superata.
Ma se respira l’ansia che filtra attraverso il bozzolo, la
farfalla non avrà mai il coraggio di uscire. Perché l’ansia è come le polveri
sottili degli scarichi urbani: non si vedono, ma penetrano ovunque e possono
ucciderci.
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