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venerdì 27 maggio 2011

A palazzo Rari Or - Aldo Palazzeschi

Da vetri oscurissimi
leggera una nebbia viola traspare:
finissima luce.
e s'odon le note morenti
dei balli più lenti.
Si vedon dai vetri
passare volanti
le tuniche bianche
di coppie danzanti.

Palazzeschi è uno dei poeti futuristi che più mi piacciono, considerato che non amo il futurismo. In questo breve componimento si sente forte l'eco di Pascoli, dal quale non si può prescindere quando si parla di onomatopee. "Finissimi" è chiaramente un aggettivo pascoliano (i "finissimi sistri d'argento" di "Chiù"), che Palazzeschi raddoppia nel suono di "oscurissimi"; così pure la "nebbia viola" ricorda la "nebbia di latte" della stessa lirica di Pascoli.Insomma, sembra proprio che l'autore avesse in mente quel componimento del grande Sanmaurese. Tuttavia, con le immagini e le parole di Pascoli, Palazzeschi gioca e le trasforma: dal buio iniziale, così marcato dall'aggettivo superlativo (che tanto piace ai futuristi) messo proprio in finale del primo verso, si arriva alle tuniche bianche dei danzatori, che volano e si intravvedono attraverso i vetri (non più oscurissimi?). Se prima i balli erano lenti su note morenti (un languore, questa volta, un po' dannunziano), alla fine diventano veloci e i ballerini sembrano volare. Forse potremmo immaginare questa lirica come la metafora del passaggio tra la poesia precedente (Pascoli, D'Annunzio) e la nuova poesia futurista, della leggerezza e della velocità. Leggere e veloci sono anche le onomatopee e le allitterazioni, fatte di "s" e di "v" e di un prevalere di "a" nella seconda parte.